Ha suscitato di recente parecchio scalpore la pubblicità mandata in onda dalla Rai riguardante l’olio di palma eco-sostenibile. Del resto se ne discute a tutti i livelli, dalla cassiera al supermercato che controlla mentre passa i prodotti se la crema alla nocciola che hai comprato contiene olio di palma e in caso affermativo ti redarguisce, ad eminenti biologi, ma anche politici ed opinion leaders! L’olio di palma e più che mai al centro dell’attenzione e non è un caso se è stato di recente redatto dall’Istituto Superiore della Sanità un documento che ribadisce i rischi legati al consumo eccessivo di questo olio. Per questo motivo abbiamo deciso di parlarne ora cercando di fare luce su questa vicenda.
COS’È L’OLIO DI PALMA
L’olio di palma, nonostante il nome, “in natura” è un grasso solido e si ottiene dai frutti della palma principalmente quella appartenente alla specie Elaeis guineensis, ma anche da Elaeis oleifera e Attalea maripa che pur essendo originaria dell’Africa viene oggi coltivata principalmente in Malesia, Indonesia, e nelle regioni tropicali del continente americano. Come dicevamo l’olio di palma viene ottenuto spremendo la polpa del frutto in modo da separare fibre, acqua e appunto il grasso. È possibile ricavare un grasso simile applicando lo stesso procedimento meccanico di spremitura al seme: in questo caso si ottiene l’olio di palmisto.
SIMILI MA DIVERSI
Esistono in natura solo 3 tipi di grassi vegetali allo stato solido a temperatura ambiente: quello di palma, quello di palmisto e quello di cocco. L’olio di palma è composto per il 50 % da acidi grassi saturi (con una netta prevalenza di acido palmitico), mentre per il restante 50% è rappresentato da acidi grassi insaturi (con prevalenza di acido oleico, monoinsaturo). L’elevato contenuto di grassi saturi conferisce all’olio di palma consistenza solida a temperatura ambiente. Il suo colore è naturalmente rossastro poiché è ricchissimo anche di beta-carotene (pro vitamina A), non a caso, l’olio di palma non raffinato viene comunemente detto olio rosso di palma. L’olio di palmisto, diversamente dall’olio di palma, deriva dalla spremitura meccanica del seme (di palma) e analogamente all’olio di cocco non contiene beta-caroteni oltre ad essere molto più ricco di acidi saturi rispetto all’olio di palma (circa 80% di rispetto ai 50% dell’olio di palma), ma a differenza dell’olio di palma il loro componente principale è costituito dall’acido laurico (un acido grasso saturo). Questi acidi grassi saturi (palmitico e laurico) sono componenti anche grassi di origine animale e come gli altri grassi vegetali, non contengono colesterolo.
QUANTITÀ NASCOSTE
Secondo i dati ufficiali, gli italiani consumano in media 12 g di olio di palma al giorno. E a chi si domanda – stupito — da dove arrivi tale quantità è facile rispondere: dai prodotti da forno siano essi dolci e salati (vale a dire dai biscotti alle merendine alle focacce). L’impiego di olio di palma fra gli ingredienti conferisce infatti una fragranza particolare e assicura una maggiore resistenza contro l’irrancidimento. Non dimentichiamo inoltre che moltissime delle creme spalmabili alla nocciola o al cioccolato presenti sul mercato devono la loro golosa cremosità proprio alla presenza di olio di palma. Appare quindi evidente che i principali soggetti esposti ad un consumo eccessivo di olio di palma sono proprio i bambini, i quali, dovrebbero limitare, ancor più che gli adulti il consumo di grassi saturi. Secondo l’OMS, la quantità di acidi grassi saturi nella dieta giornaliera non dovrebbe superare il 10% delle calorie giornaliere totali. Le stime di assunzione di acidi grassi saturi effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità riferiti agli anni 2005–2006 (gli unici disponibili al momento) riportano un consumo nella popolazione generale adulta di circa 27 grammi al giorno (superiore all’obiettivo fissato del 10% delle calorie totali), nei bambini di età 3–10 anni, le stime indicano un consumo di acidi grassi saturi tra i 24 e 27 grammi al giorno (sempre superiore all’obiettivo fisso del 10% delle calorie totali). E’ da sottolineare che negli ultimi dieci anni, si è osservato un trend di crescita delle importazioni in Italia di olio di palma a scopo alimentare, trend generato dallo spostamento dell’industria alimentare dall’uso di margarine e burro e olio di palma. Complessivamente emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2%) all’obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 % delle calorie totali giornaliere). Come pure il consumo complessivo di grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni risulta superiore all’obiettivo fisso del 10% anche se per quest’ultimi tali risultati vanno pertanto interpretati con cautela, tenendo anche presente il maggior fabbisogno fisiologico di grassi saturi nei neonati e nei primi anni di vita.
ATTENZIONE AL SISTEMA CARDIO VASCOLARE
Da parecchi anni sono noti i rischi legati ad un consumo eccessivo di alimenti di origine animale: carni rosse, formaggi, salumi, latticini . Sappiamo infatti che questi alimenti sono ricchi di grassi saturi che favoriscono l’innalzamento del colesterolo cattivo (LDL) e quindi creano le basi per l’insorgenza di malattie cardiovascolari dall’ictus all’infarto, passando anche attraverso problemi legati alla circolazione e all’ispessimento delle arterie. Nello specifico il consumo alimentare dell’olio di palma aumenta la concentrazione plasmatica del colesterolo totale, di colesterolo LDL e di colesterolo HDL rispetto all’uso di altri oli vegetali, mentre non modifica in maniera significativa la concentrazione plasmatica di trigliceridi. Tali risultati dipendono anche dalla quantità di olio consumata, la lunghezza dell’intervento, e le modalità di uso, inoltre è stato evidenziato che gli effetti sul colesterolo totale e colesterolo LDL indotte dal consumo di olio di palma non erano significativi nei soggetti normo-colesterolemici e giovani, mentre diventano significativi all’aumentare dell’età dei soggetti considerati sopprattutto se il consumo di olio di palma veniva associato all’abitudine di mangiare spesso alimenti ricchi di grassi saturi.
EFFETTI SULL’ADIPOSITA’
Uno studio recente condotto per 7 settimane ha somministrato un certo numero di muffin preparati con olio di girasole o con olio di palma in soggetti sani, giovani (20–38 anni), normopeso o in leggero sovrappeso mantenendo invariati le loro abitudini alimentari e l’attività fisica svolta abitudinariamente. Il consumo aggiuntivo di muffin ha determinato un aumento ponderale di peso in tutti e due i gruppi, tuttavia i soggetti che avevano consumeto muffin preparati con olio di palma hanno presentato alla fine un raddoppiamento del grasso viscerale ed un significativo aumento del grasso epatico rispetto a quelli che mangiano muffin all’olio di girasole. E’ ragionevole supporre che questi non siano solo effetti specifici dell’olio di palma ma, verosimilmente, legati al consumo di acidi grassi saturi in quanto risultati analoghi sono stati osservati utilizzando burro al posto dell’olio di palma. Pertanto si ritiene che gli acidi grassi della dieta possano essere dei modulatori dello stato infiammatorio cronico che si instaura in presenza di obesità. A questo proposito gli acidi grassi saturi, compreso il palmitico, e i polinsaturi (PUPA) della serie n‑6 sembrerebbero esercitare effetti pro-infiammatori, mentre i PUPA n‑3 (omega 3) eserciterebbero attività anti-infiammatoria. Attualmente si stà cercando di definire il ruolo dei diversi tipi di acidi grassi della dieta sulla risposta infiammatoria in soggetti obesi, ma le indagini sono ancora in fase di ricerca.
UN OCCHIO ANCHE ALL’AMBIENTE
Attualmente si può dire che l’olio di palma, sia per l’ottima resa sia per i costi ridotti rispetto ad altri tipi di grassi (che si tratti di burro o di olio di oliva) è sempre più spesso usato dall’industria alimentare e cosmetica. Purtroppo il rovescio della medaglia, al di là dei problemi di salute che può provocare, sono legati alla de-forestazione selvaggia attuata in questi ultimi anni per creare spazio a nuove piantagioni di palme (da olio). Il risultato drammatico in paesi come l’Indonesia e la Malesia, principali esportatori di olio di palma con circa il 90% di quello presente sul mercato e la distruzione quasi totale della biodiversità locale. Alias rischio di estizione di alcune specie animali (e vegetali) alterazione strutturale del terreno con potenziali rischi geologici e biologici negli anni futuri. Per cercare di arginare, almeno in parte, il problema alcune aziende (principali produttori ma anche utilizzatori) di olio di palma e organizzazioni ambientaliste hanno creato una sorta di patto per la produzione sostenibile di olio di palma che riduca al minimo il rischio legato all’alterazione della biodiversità a causa della deforestazione. Recentemente è stato creato un nuovo gruppo il Palm oil innovation group (Poig) di cui fanno parte Wwf, Greenpeace, Rainforest Action Network e altre organizzazioni con l’obiettivo di spingere governi e imprenditori a migliorare le leggi in vigore e le condizioni di lavoro e di sfruttamento delle risorse naturali. Perché a quanto pare l’olio di palma può essere un problema serio per la salute di chi lo consuma, di chi o produce e soprattutto dell’intero pianeta.